Abolite i paroloni, i termini tecnici, le definizioni complesse. Il
“prisma ottico triangolare” deve diventare “una speciale casetta di
cristallo che tira fuori i colori della luce” e lo scienziato va
descritto come “una persona curiosa che guarda dappertutto con gli occhi
bene aperti”. E’ il primo consiglio che il gruppo di comunicatori
scientifici riuniti nell’associazione Tecnoscienza si sente di dare agli
insegnanti delle scuole materne che vogliano
avvicinare i loro piccoli allievi alla scienza. I bambini non conoscono
lo “scientifichese”, parlano un’altra lingua piena di vocaboli che gli
adulti fanno di tutto per evitare. Ebbene sono proprio quelle le parole
che bisogna rispolverare per trovare la traduzione giusta, quella capace
di svelare in un attimo il significato che si nasconde dietro a un
suono prima incomprensibile.
Forte dell’esperienza maturata in
centinaia di laboratori in tutta Italia con migliaia di bambini dai 3 ai
6 anni, l’associazione pubblica con la casa editrice Scienza Express un
delizioso manuale con tanti, divertenti e ben congegnati esperimenti per vincere una sfida non facile: insegnare ai piccolissimi il metodo scientifico ancora prima dell’alfabeto.
Non
vogliamo essere fraintesi. Il libro non ha niente a che vedere con i
diffusi vademecum per intrattenere bambini curiosi, non è un semplice
elenco di attività di laboratorio da riproporre entro le mura domestiche
o scolastiche. E’ molto di più, anche se gli autori non ne fanno un
vanto: è a tutti gli effetti un saggio pedagogico pratico ed essenziale
che intelligentemente rinuncia a cattedratiche disquisizioni sulle
modalità dell’apprendimento infantile per rivelarci subito con snelli
suggerimenti i pochi ma fondamentali principi che servono per comunicare
con le giovanissime menti. Una guida ragionata che indica agli
insegnanti, passo dopo passo, cosa fare e cosa non fare. Operazione
inedita qui da noi, dove il pragmatismo è spesso snobbato, ma
sperimentata con successo nei paesi anglosassoni.
Poche regole
prima di avventurarsi con la sperimentazione. Oltre a imparare la lingua
dei bambini, all’insegnante viene suggerito di costruire uno
spazio-laboratorio separato dalle altre attività, un luogo
“istituzionale” destinato al “momento della scienza”, una zona, varcata
la quale, si “diventa scienziati”. Perché i bambini amano i simboli,
trovano sicurezza nei rituali e sono anche convinti che l’abito faccia
il monaco. Ben vengano quindi i camuffamenti: camici bianchi, occhiali,
lenti di ingrandimento e tutti gli accessori che giustifichino il nuovo
appellativo di “scienziato Marco”, “scienziata Sara” e “scienziata
maestra”… Indossati i nuovi panni può iniziare l’attività scientifica
vera e propria.
Le schede degli esperimenti sono il cuore del
libro. Indicano tutto ciò che l’insegnante deve dire e fare e gli
eventuali errori che può commettere. Le tappe sono ben precisate: si
parte con “la domanda clic” che scatena la curiosità dei bambini (per
esempio: la pallina galleggia o non galleggia?), si passa per un
preambolo (“cosa puoi dire tu”) dove sono suggerite espressioni e
immagini da evocare prima che tutto inizi, si affronta “il procedimento”
e si conclude con la sezione “cosa dice la scienza” dove è enunciato il
principio scientifico coinvolto nell’esperimento. Il tutto facendo
attenzione a non scivolare sulle pericolosissime “bucce di banana”, le
cose da non fare, le azioni che traggono in inganno, i passaggi a cui
prestare maggiore attenzione. Un esempio? “Dire che l’acqua che calda va
verso l’alto perché è più leggera dell’acqua fredda è improprio in
quanto non si tratta di un fenomeno legato al peso, ma alla minore
densità”. Così lo scivolone è evitato e la corretta informazione è
salva!
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