Adesso Carlo la racconta come se fosse facile. Ma, provate a immaginare una persona che si siede davanti ad altre sette e racconta che desidera solo morire. Tutti i giorni che Dio manda in terra. E da quelle sette persone arrivano l’empatia e la partecipazione che tre professionisti (tanti sono gli studi privati che Aliverti ha girato prima di rivolgersi ai volontari), non sono stati in grado di dare. «Prima avevo incontrato freddezza. La lucidità dei medici, ma nulla di umano, di vivo, cioè quello che a me serviva e che ho trovato nell’auto-aiuto –aggiunge il volontario-. Sono cambiato molto da quando ho frequentato i gruppi: ho imparato a confidarmi di più e ho capito che non è una debolezza ammettere quali sono le proprie fragilità».
I partecipanti ai gruppi di auto-aiuto, che siano persone sofferenti di disturbi psichici oppure loro parenti, si riuniscono ogni settimana portando testimonianze, sentimenti, sensazioni, pensieri da condividere. Nessuno giudica, nessuno critica: questa è la sola regola. «Il livello di comunicazione è molto forte e la parola ha effetto taumaturgico – conclude Aliverti-. La malattia psichica è in costante aumento: va riconosciuta e curata. Per questo andiamo nelle scuole per fare prevenzione: proiettiamo film come Beautiful Mind o Mr. Jones, che affrontano i temi della schizofrenia e del disturbo bipolare, e un mese dopo affrontiamo l’argomento con gli studenti. Regolarmente i professori ci dicono che nessun tema interessa i ragazzi come il disagio psichico».
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