Massimiliano e Carlo non sono scappati. Sarebbe stato più
facile fuggire dalle responsabilità e dalle fatiche di un figlio
disabile. Sarebbe stato semplice varcare fisicamente la porta per non
sentire più l’acuto stridore delle urla che trafiggono le orecchie e
l’acre odore delle funzioni fisiologiche espletate in loco che punge le
narici. Sarebbe stato più comodo trasferirsi e ricostruire un altro
nucleo famigliare con figli che considerano “sani” (come ha raccontato Queen ann nel post il sesso dei disabili e l’abbraccio di una madre e ed è stato ribadito in tanti commenti dalle molte mamme H). No, loro sono ancora lì. Accanto al figlio più fragile.
Gli uomini sembra riescano meglio delle
donne a recidere il cordone ombelicale che li unisce ai figli. Così
nella disabilità come nella quotidianità. Non è necessario scomodare le
statistiche per misurare il fenomeno. E’ sufficiente guardare alla
stretta cerchia delle proprie amicizie per scoprire quante coppie
scoppiate si contendono i figli e quante madri abbandonate crescono i
loro cuccioli in solitaria e silenziosa autonomia. Ma la realtà parla
anche di padri divorziati alla ricerca del modo di trascorrere ancora un
po’ di tempo con i propri figli prima che questi siano troppo cresciuti
(leggi i commenti della Lettera a un’adolescente da un padre disabile).
La realtà parla anche di Massimiliano e Carlo. Due padri diversi, più noto il primo Massimiliano Verga (leggi la storia sulla 27esimaora), che attraverso le pagine del libro Zigulì ha
urlato e raccontato i dolori e le angosce di essere papà nella
disabilità. Al lettore non ha risparmiato nulla di questa quotidianità
famigliare. Nel libro accanto alla rabbia gridata spesso con forza, al
senso di inadeguatezza, all’impotenza di fronte a una società che non
vuole vedere e capire, Verga riesce a trasmettere i suoni, gli odori, le
paure, le incertezza di chi è solo a combattere un “mostro” più grande
di lui. Che piaccia o meno anche questa rabbia è simbolo dell’amore
immenso che lega un padre a un figlio. (Leggi anche il commento di Franco Bomprezzi).
L’altro, Carlo, è l’esempio di tanti altri padri che vivono
nell’ombra queste difficoltà (e che spero vogliano raccontarsi in questo
blog). Conosciuto in una piccola cerchia di amici, non ha più tempo per
sè e dedica ogni pensiero e ogni minuto libero dal lavoro al figlio
tetraplegico. Non ha scritto un libro e forse non lo scriverà mai.
Purtroppo. Ho incontrato Carlo e sua moglie una sera a cena e ho
scoperto una famiglia che, nelle mille tensioni della quotidianità, rema
in un’unica direzione, compatta e solidale.
Così Carlo e sua moglie sono, giorno dopo giorno, lì per il loro
figlio. Nel loro cupo silenzio forse non hanno mai accettato che una
malattia portasse via i movimenti del figlio, la sua adolescenza, il suo
futuro da adulto indipendente. Carlo ha scelto, ha deciso con la moglie
Maria di sovvertire la scala dei valori che la società impone, tornando
a porre al centro della sua vita la famiglia e quel bambino un po’
cresciuto che in un eterno bozzolo non può sviluppare le ali per
volarsene via. Carlo ha deciso: sarà le ali di suo figlio.
http://invisibili.corriere.it/2012/03/29/massimiliano-e-carlo-i-padri-che-non-fuggono/
leggete i commenti dei lettori, sono lezioni di vita
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