E’ davvero significativo l’atteggiamento della mamma di Gianni,
soprattutto il suo modo di reagire alle distrazioni del figlio sia nei
confronti dei vicini di casa che del figlio con la testa fra le nuvole,
il quale torna a casa, distratto come sempre, ma felice. Ma vediamo il
racconto nella sua interezza:
La passeggiata di un distratto- Mamma, vado a fare una passeggiata.
- Va' pure, Giovanni, ma sta' attento quando attraversi la strada.
- Va bene, mamma. Ciao, mamma.
- Sei sempre tanto distratto.
- Sì, mamma. Ciao, mamma.
Giovannino esce allegramente e per il primo tratto di strada fa bene attenzione. Ogni tanto si ferma e si tocca.
- Ci sono tutto? Sì,
- e ride da solo.
È così contento di stare attento che si mette a saltellare come un passero, ma poi s'incanta a guardare le vetrine, le macchine, le nuvole, e per forza cominciano i guai.
Un signore, molto gentilmente, lo rimprovera:
- Ma che distratto, sei. Vedi? Hai già perso una mano.
- Uh, è proprio vero. Ma che distratto, sono.
Si mette a cercare la mano e invece trova un barattolo vuoto. Sarà proprio vuoto? Vediamo. E cosa c'era dentro prima che fosse vuoto. Non sarà mica stato sempre vuoto fin dal primo giorno...
Giovanni si dimentica di cercare la mano, poi si dimentica anche del barattolo, perché ha visto un cane zoppo, ed ecco per raggiungere il cane zoppo prima che volti l'angolo perde tutto un braccio. Ma non se ne accorge nemmeno, e continua a correre. Una buona donna lo chiama: -
Giovanni, Giovanni, il tuo braccio! Macché, non sente.
- Pazienza, - dice la buona donna. - Glielo porterò alla sua mamma.
E va a casa della mamma di Giovanni.
- Signora, ho qui il braccio del suo figliolo.
- Oh, quel distratto. Io non so più cosa fare e cosa dire.
- Eh, si sa, i bambini sono tutti così. Dopo un po' arriva un'altra brava donna.
- Signora, ho trovato un piede. Non sarà mica del suo Giovanni?
- Ma sì che è suo, lo riconosco dalla scarpa col buco. Oh, che figlio distratto mi è toccato. Non so più cosa fare e cosa dire.
- Eh, si sa, i bambini sono tutti così.
Dopo un altro po' arriva una vecchietta, poi il garzone del fornaio, poi un tranviere, e perfino una maestra in pensione, e tutti portano qualche pezzetto di Giovanni: una gamba, un orecchio, il naso.
- Ma ci può essere un ragazzo più distratto del mio?
- Eh, signora, i bambini sono tutti così.
Finalmente arriva Giovanni, saltellando su una gamba sola, senza più orecchie né braccia, ma allegro come sempre, allegro come un passero, e la sua mamma scuote la testa, lo rimette a posto e gli dà un bacio.
- Manca niente, mamma? Sono stato bravo, mamma?
- Sì, Giovanni, sei stato proprio bravo.
Questa mamma è davvero fantastica. Si lamenta del figlio distratto
con i vicini, suscitando immediatamente in loro un istinto di protezione
e di conforto verso Giovannino e verso sé stessa, ma quando infine il
figlio torna a casa senza pezzi di corpo, tanto è stata la sua
distrazione, la mamma gli dice: “Si, Giovanni, sei stato proprio bravo.”
In tutto questo si riconosce un’incredibile accettazione della madre
per la natura del figlio. Non lo rimprovera (sa che non lo fa apposta ad
essere distratto), naturalmente non lo punisce né fisicamente né
psicologicamente, anzi, alla sua richiesta (Manca niente, mamma? Sono
stato bravo, mamma?) senza esitare lo loda per la sua bravura.
Viene da pensare che Gianni sia stato molto amato durante la sua infanzia, e accettato per quello che era.
Le note biografiche dell’autore sono molto scarne, ma troviamo molto
di lui nel suo libro “Grammatica della fantasia”, ad esempio che tipo di
maestro (elementare) fosse: “...avevo in mente di tutto fuor che la
scuola. Forse, però, non sono stato un maestro noioso. Raccontavo ai
bambini, un po’ per simpatia un po’ per la voglia di giocare, storie
senza il minimo riferimento alla realtà né al buonsenso…” (pag. 4).
Poco più avanti, ecco il suo concetto di scuola: “Nelle nostre
scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco. L’idea che
l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più
difficili da combattere” (pag. 20).
Il ricordo del padre si perde nelle nebbie delle prime memorie,
infatti Gianni resta orfano di padre a 9 anni, ma significativo appare
il ritratto che ne fa lo stesso autore: "La parola "forno" vuol
dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un'impastatrice
meccanica sulla sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno,
la sua bocca che si apre e chiude, mio padre che impasta, modella,
inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo ghiotti, egli
curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola
doppio zero, che dovevano essere molto abbrustoliti". Nella rievocazione entrano poi altri particolari, sempre rivelatori dei sentimenti di gratitudine e tenerezza del figlio: "L'ultima
immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano
di scaldarsi la schiena contro il suo forno. E’ fradicio e trema. È
uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le
pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di bronco-polmonite. A quei tempi
non c'era la penicillina". (tratto da Gianni Rodari Gavirate: Gli Anni Giovanili, Nicolini Editore, testo di Federica Lucchini.)
Per concludere, solo un animo sensibile e rispettoso dei sentimenti e
dei bisogni dei bambini poteva concepire una poesia così densa di
affetto per quelli che lui definiva “gli uomini di domani”.
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