Sono tornate le api (la poesia è salva)
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"Natura morta", Jan Van Kessel, 1680 |
Amo moltissimo il miele. Tutto il miele: il miele d’acacia, di
castagno, di timo, di trifoglio, di lavanda, di menta, di salvia, di
corbezzolo, di tiglio. Non c’è nessun dolce che lo eguagli: o solo,
forse (ma non ne sono sicuro), la marmellata d’arancio inglese. Amo
l’ape, che mi sembra la figura simbolica centrale della natura: il segno
della metamorfosi vivente, che anima e trasforma le cose che ci
circondano, e trasforma noi stessi nel corso dei mesi e degli anni. Ma
l’ape, a differenza degli uomini, non trasforma ciecamente: non cambia
in miele l’erba, la pianta, lo sterco, qualsiasi fiore; in un caso
produce il miele d’acacia, nell’altro quello di castagno, nel terzo
quello di tiglio.
Come sapeva Omero, l’ape e il miele si possono paragonare
soltanto ai grandi poeti e alla grande poesia: Dante era un’ape,
Petrarca un’ape, Shakespeare un’ape, Leopardi un’ape. Tutti i poeti,
fino ai tempi moderni, l’hanno saputo: scrivere poesia è l’esperienza
della liquidità: Pindaro beveva acqua - acqua di una sorgente, acqua
dell’oceano, prima di comporre versi. Pindaro e Orazio preferivano il
miele. Tutto è liquido, dolce, mobile, amabile nella poesia - anche le
cose più tragiche -, perché ha sapore di miele.
Quando possedevo una casa nella campagna toscana, un contadino aveva
disposto in fondo al giardino quattro arnie, dove le api .....
http://www.corriere.it/cultura/11_settembre_28/elzeviro-citati-sono-tornate-api_b5c0d968-e9a8-11e0-ac11-802520ded4a5.shtml
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