Artribune
Altro che Curiger. Il titolo “Illuminazioni” era stato pensato per la Puglia
In un piccolo paese del Salento una mostra indaga il tema della luce. E si chiama “Illuminazioni” come la Biennale di Bice Curiger, anche se il curatore, Ludovico Pratesi, giura di averla progettata molto prima. Fino al 25 agosto a Palazzo Gargasole.
Ormai è assodato: il Salento non è più soltanto “il sole, il mare, il vento”. Le numerose iniziative culturali che da qualche anno vengono organizzate durante l’estate (e non solo) in questo estremo lembo orientale della penisola costituiscono la marcia in più di un territorio in cui alle bellezze naturali, alle testimonianze storiche e artistiche, alle eccellenze enogastronomiche si accompagnano festival musicali di ogni genere, spettacoli teatrali, presentazioni di libri, mostre e altro ancora. Persino in un piccolo paese, come Gagliano del Capo (Lecce), a un paio di chilometri dalla finis terrae, che già da due anni ospita Artisti a Palazzo, una manifestazione promossa da un impavido quartetto di professionisti (Francesca Bonomo, Tiziana Frescobaldi, Francesco Petrucci, Mirko Pozzi) che amano il Salento e hanno deciso di trascorrervi una parte dell’anno. Sette artisti con ottimi curricula sono stati chiamati quest’anno dal critico Ludovico Pratesi a partecipare a Illuminazioni (titolo che il curatore rivendica di aver scelto mesi prima che Bice Curiger lo indicasse per la sua Biennale veneziana), una mostra che ha come filo conduttore la luce ed è ospitata nelle piccole sale del pianterreno di Palazzo Gargasole, un edificio disabitato e ormai fatiscente, dotato di grande fascino.
A dare inizio al percorso espositivo è un fastoso lampadario di vetro e metallo sospeso al soffitto dell’atrio e nato dall’accrochage di elementi diversi e incongrui: con Grande Oriente con decori Flavio Favelli ci riporta alla mente ambienti domestici d’antan e scenari di vicende familiari lontane e insieme molto presenti. La scultura modulare in cartone trafitta da un tubo di neon bianco è invece il suggestivo omaggio che Riccardo Previdi tributa a famosi maestri del design italiano del secolo scorso, come Achille Castiglioni, Dino Gavina e Bruno Munari, mentre il lightbox di Sarah Ciracì squaderna dinanzi ai nostri occhi un planisfero azzurro che evoca la natura globale della società contemporanea, un mondo liquido in cui i confini tra gli stati sembrano essere scomparsi. Se il Leggìo di Alfredo Pirri proietta nell’ambiente giochi astratti di luci e ombre che ricordano le sperimentazioni delle avanguardie e insieme le cangianti textures dei caleidoscopi, il lavoro minimale di Francesco Arena (che con la Ciracì condivide l’origine pugliese), pur nell’essenzialità formale rimanda alle luminarie delle feste popolari della sua terra, ponendo in luce il valore metafisico della luce.
È un perentorio raggio laser, che in due foto di Mario Airò addita un edificio a L’Aquila e un sito preistorico in Trentino, a dar conto della facoltà rivelatrice della luce e insieme del suo potenziale poetico. Su una parete del cortile infine, sospesi nel buio, passano nel silenzio i luminosi ippocampi verdi del video Dance Bound di Elisa Sighicelli: chi li guarda ha la sensazione spiazzante e insieme fascinosa di poggiare i piedi su un fondale marino.
A pochi passi da Palazzo Gargasole, nella coffee house di Palazzo Daniele, è il video del tedesco Tobias Zielony, un percorso condotto dal crepuscolo alla notte nel complesso delle Vele di Scampia, in cui i frame si inseguono in silenzio e a ritmo sincopato, alternando a velocità sostenuta immagini insolite di particolari architettonici ad acuti ritratti di abitanti di quegli edifici, in cui la luce si fa strumento di conoscenza e rivela senza intenti moralistici una realtà molto problematica senza pretendere di giudicarla.
Lia De Venere
Illuminazioni
a cura di Ludovico Pratesi
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