Ormai lo sarebbe il 23 per cento, ma, secondo una ricerca italiana, la quota reale non supererebbe il 4 per cento
MILANO - Attenzione a non esagerare quando si parla di dislessia, un problema che non è legato a deficit intellettivi. La prova? Grandi scienziati come Leonardo da Vinci oppure moderni geni dell’animazione come Walt Disney sono stati dislessici. È sulle cifre del fenomeno che occorre riflettere, perché passando dall’ipotesi di un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA), uno dei quali è proprio la dislessia, alla realtà dei banchi di scuola elementare negli anni scorsi il quadro epidemiologico poteva apparire a tinte più fosche di quello che in realtà si dipinge oggi. «Troppi bambini in Italia sono considerati dislessici, ma in realtà hanno solo disturbi comuni» è il parere di Federico Bianchi di Castelbianco direttore dell’Istituto Italiano di Ortofonologia, che ha presentato a Roma un’indagine condotta nell’ambito del progetto "Ora sì", promosso dall’associazione di scuole “Una rete per la qualità”.UN BAMBINO SU CINQUE - «In Italia un bambino su cinque presenta disturbi di apprendimento ma questo non vuol dire che sia dislessico, eppure viene ritenuto tale ed inserito in un percorso di recupero specifico che rischia di causargli danni notevoli, avendo in realtà solo disturbi comuni» sottolinea l'esperto. A far riflettere sono i risultati del progetto condotto nella capitale, che dimostrano come nelle scuole materne ed elementari di Roma circa il 23 per cento dei bambini venga indicato a rischio di Disturbi specifici di apprendimento (Dsa), ovvero con significative difficoltà nella lettura, scrittura e nel ragionamento matematico. In realtà, in questa percentuale elevata sarebbero inseriti anche bambini con difficoltà di tipo minore, definibili come secondarie o a basso rendimento scolastico, e non come Dsa. Se si “rifanno i conti” con valutazione particolarmente attente, infatti, la percentuale dei bambini a rischio cala intorno al 4 per cento.
LE CIFRE REALI - Le cifre reali da noi sono insomma più basse rispetto a quanto si osserva nel mondo anglosassone, anche perché l’italiano è una lingua che meno si presta allo sviluppo del fenomeno rispetto all’inglese. Lo studio La ricerca si è svolta svoltasi da settembre 2010 a giugno 2011, attraverso un’indagine un’indagine condotta su nove scuole elementari (27 classi di prima e 27 classi di seconda) e sei scuole materne (25 classi dell’ultimo anno), per un totale di 1.175 alunni: 1.025 delle elementari (535 di prima e 490 di seconda) e 150 delle materne. Nelle scuole elementari su 1.025 bambini sono risultati a rischio Dsa solo 41 alunni, contro i 239 potenzialmente individuati. Grazie al lavoro svolto nell’ambito del progetto, con la grande collaborazione e competenza degli insegnanti, si è passati da un bambino su cinque a un bambino su venticinque considerato a rischio. E solo per 41 piccoli studenti è stata prevista una terapia specifica per problematiche organizzative e di apprendimento, presso una struttura esterna alla scuola.
INIZIO TROPPO PRECOCE - Va sottolineato che tra i 41 alunni c’erano anche 8 cosiddetti “anticipatari”, cioè bambini precocemente sottoposti a stimoli scolastici in un momento non adeguato della loro evoluzione. Non considerando questa specifica popolazione, da 41 giovani alunni si passerebbe a 33 con Dsa, portando il rapporto da 1 bambino su 5 ad 1 bambino su 31. Nelle scuole materne, su 150 bambini 39 hanno meritato un’attenzione particolare. Fortunatamente, però, alla fine dell’anno il numero si è quasi dimezzato: 19 studenti, uno su sette su 7, hanno presentato difficoltà organizzative, ma determinate anche da componenti emotive e quindi recuperabili con percorsi specifici. «Segnalare come dislessici bambini che in realtà non lo sono comporta due gravi rischi: sono dirottati su percorsi alternativi come portatori di una disabilità che non hanno, con oneri economici non sostenibili e totalmente inutili, mentre il loro problema non solo non verrà affrontato ma lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà pesantemente sul loro curriculum studiorum» precisa Bianchi di Castelbianco.
Paola Santamaria
16 dicembre 2011
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