"All'età di cinque anni, mia
nipote Francesca, nel mostrarmi i suoi magnifici disegni colorati, era
convinta che io potessi percepirne anche le tinte attraverso il tatto ed
era riuscita a fornire persino una stupefacente giustificazione a
questa sua credenza, espressa nella frase: «Le tue mani ti dicono com'è
tutto». Si dice che i bambini siano simili ai poeti: di certo,
utilizzano le sinestesie come mezzo di esplorazione della realtà
attraverso iperboli, metafore e simboli. In realtà il colore è per sua
natura impalpabile, per cui, anche se di fatto è possibile sentire al
tatto la sottile patina rilasciata da un pastello o le striature della
tempera su una tela, non si possono però distinguere le diverse tonalità
attraverso i polpastrelli delle dita. L'approccio sinestesico al colore
può essere effettuato attraverso l'olfatto, il gusto e l'udito. Scrive
infatti Mazzeo: «La fenomenologia del gusto è più vicina all'olfatto che
a quella dell'udito; l'udito ha dimensioni comuni probabilmente più con
la vista che con il tatto (la percezione a distanza, ad esempio) e così
via.»
Qual è stato il mio personale
approccio al colore? Nell'infanzia giocavo continuamente con pennarelli,
pastelli, colori a cera e a dita. Mi piacevano l'odore emanato dalle
sostanze coloranti, soprattutto degli evidenziatori e dei pennarelli
indelebili e amavo toccare l'alone che le matite colorate o i pennarelli
lasciavano sulla carta. Ho frequentato le scuole con compagni
normovedenti: la legge 517 del 1977 sull'integrazione scolastica era
appena stata approvata quando ho iniziato la prima elementare. Credo che
la mia insegnante di sostegno considerasse il colore non solo
un'esperienza inclusiva con i vedenti, ma anche un modo particolare per
sviluppare la mia motricità fine. Infatti mi faceva riempire l'interno
di una figura punteggiata con la matita colorata, dovevo stare attenta a
non lasciare spazi liberi, a distribuire uniformemente il colore in
tutta la superficie. Questo è un esercizio utilissimo per spalmare,
rivestire una superficie, esplorare piccoli spazi, non uscire dai
margini.
Solo al liceo, però, ho
sviluppato consapevolmente la mia idea dei colori, in seguito ad alcune
lezioni di educazione artistica sulla distinzione tra colori primari e
secondari. Mi sono accorta che studiare e comprendere quella lezione
sarebbe stato per me improponibile, se non avessi cercato di associare i
colori a qualcosa di più familiare alla mia esperienza. Naturalmente,
l'abbinamento non avrebbe dovuto essere casuale, ma affondare le radici
in quel già noto che mi derivava da letture, discorsi ascoltati e
sensazioni strappate all'inconscio e rimaste per lunghi anni in attesa
di essere chiamate per nome. Da allora, la strutturazione di queste
associazioni non è mutata di molto ed ha contribuito a fare dei colori
una realtà concettuale plastica e icastica nella mia mente, nonché una
presenza quotidiana, che a volte mi interroga e a volte mi stimola, come
quando scelgo abbinamenti neutri per i vestiti, nel timore di azzardare
accostamenti strani o come quando avverto di non poter uscire senza un
filo di trucco sul viso, sia pure leggero.
Ecco le personali associazioni che ho elaborato:
- NERO: si attacca ruvido
alle dita, come il carbone. Sporca come il caffè che qualcuno ti
rovescia addosso. Ma è anche elegante: snellisce, crea fascino. Mi
ricorda la musica di Nick Cave.
- BIANCO: soffice neve, che
sembra la lana di una coperta morbida, ti scalda d'inverno, attutisce i
rumori. Oppure può essere panna, latte, via Lattea, luce diffusa. Io non
lo indosserei mai: avrei paura di sporcare la luce, mi sentirei vestita
di cristallo, non vorrei compromettere mai la sua compostezza. Mi
ricorda la musica di Debussy, un'alternanza di tasti bianchi e neri tra
la quinta e la settima ottava del pianoforte.
- ROSSO: colore barocco,
carico di fronzoli e decorazioni, elegantissimo. Ha il sapore e la
consistenza pomposa delle caramelle Rossana. Ma è anche il colore
dolciastro del sangue, sapore aspro di rivoluzioni e barricate. Anch'io,
come lo studioso cieco citato da Locke, lo associo al suono scarlatto
della tromba.
- GIALLO: distese infinite,
lunghissime da percorrere in macchina, di girasoli, di spighe mature, di
tulipani. Ma è anche il colore della malattia, più ancora che il
pallore. Per questo non mi piace, non ne parlo volentieri, lo associo ad
un suono assordante.
- VERDE: odore di menta e di
erba, colore che dà sensazione di freschezza, quando la vita rifiorisce
dal germoglio. Verde speranza, si dice infatti: simbolo di un nuovo
inizio. Colore nostalgico, perché poi sarà destinato a sbiadire. Lo
associo alla Primavera di Vivaldi.
- BLU: preferisco l'azzurro,
trovo che il blu sia un po' più lugubre. È una toccata e fuga di Bach,
maestosa e solenne, ma non ha la leggerezza cristallina dell'azzurro.
Come sapore, sembra una tisana ai mirtilli, che lascia in bocca un gusto
intenso, persistente e non sempre gradevole.
- MARRONE: profumo di resina,
di castagne, di tronchi d'albero in un bosco fitto. Mi ricorda
l'autunno, una stagione che tanto mi si addice, per la sua ricerca di
tepore, intimità e protezione. Del marrone mi piacciono la concretezza,
la terrestrità e il pragmatismo: rendere bella l'esistenza sfruttando
ciò che offre il presente, anche nelle sue modalità in apparenza più
ostili. Lo associo ad un coro di alpini.
- GRIGIO: colore della cenere
di una sigaretta. Sembra impalpabile, a metà tra il bianco e il nero,
però rimane, persiste. Parla di paesaggi lontani: "Cielo grigio su /
foglie gialle giù". Non posso dire che mi metta di buon umore: mi fa
ricordare certe giornate apatiche, cariche di noia, giorni grigi,
appunto, in cui si ricorda un passato nostalgico o si aspira a tempi
migliori.
- ROSA: delicatezza per
eccellenza. Ho conosciuto una ragazza che portava questo nome,
energetica, sprizzante vita: quel nome le stava proprio bene.
Impossibile non associarlo all'omonimo fiore e al suo profumo.
L'abbinamento rosa-nero, che sembra così contrastante, in realtà mi dà
l'idea di un insieme altamente raffinato. Naturalmente lo associo a La vie en rose.
- VIOLA: non ho mai pensato
che porti sfortuna, come asseriscono gli uomini di spettacolo. Lo
associo al profumo del fiore, che quando riempie una stanza la fa
sembrare persino più grande. Però non mi mette allegria: penso ad una
persona che si aggrappa tenacemente alla vita quando sa che dovrà
lasciarla. So che alla morte si accompagna il crisantemo, però la viola e
il viola per me stanno al confine tra la vita e la morte. Questo colore
mi fa pensare all'omonimo strumento ad archi.
- ARANCIONE: sapendo che nasce dalla mescolanza del giallo con il rosso, dico che mai unione fu più felice! Il rosso ha tolto al giallo quell'alone di aria sbiadita; il giallo ha stemperato parzialmente la protervia del rosso. L'arancione è rugoso, come la buccia d'arancia, poroso come il fungo. Mi è simpatico, porta giovialità e armonia. Per me si accompagna al suono dell'oboe."
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