- Corriere della Sera >Editoriali >Il marcio e il caos Forse il Consiglio superiore della Magistratura dovrebbe disporre un'indagine statistica per accertare se questa storia della giustizia a orologeria è vera o no. Se è vero, cioè, che in momenti politici particolarmente delicati, come una campagna elettorale, l'attivismo delle procure si intensifica e gli ordini di custodia cautelare fioccano. Certo è che negli ultimi giorni il tintinnar di manette si è sentito, eccome. Ma è provenuto da luoghi così distanti tra loro e per inchieste così diverse l'una dall'altra che è difficile credere all'ipotesi della «manona giudiziaria» di cui ha parlato Silvio Berlusconi. Più che al disegno intelligente di un deus ex machina che manovra dall'alto le inchieste, sembra piuttosto di assistere a un vero e proprio caos organizzato, all'incrociarsi casuale ma micidiale delle tre debolezze del sistema-Italia: una corruzione dilagante, una politica declinante, una giustizia debordante.
- La corruzione dilagante è sotto gli occhi di tutti. C'è del
marcio in Italia, e questo è un fattore killer per la nostra economia. I
capitali esteri non arrivano anche perché sanno che da noi si paga il
pizzo, la tangente, la mancia; che si può essere scavalcati da un
concorrente solo perché gioca sporco; che la trasparenza nei confronti
del mercato non è la Bibbia del nostro capitalismo di relazioni (è con
l'accusa di comunicazioni truffaldine e aggiotaggio che è stato
arrestato ieri il finanziere Alessandro Proto). Il coinvolgimento
contemporaneo di tre grandi aziende come Monte dei Paschi, Eni e
Finmeccanica in vicende nelle quali la governance è sotto accusa, depone
male per il Paese non meno del debito pubblico. La domanda che circola
nel mondo è: ci si può fidare di voi? È un costo in più del
rischio-Italia. La corruzione è così dilagante che talvolta rischiamo di
perseguire come tale anche ciò che altrove è considerato solo lobbismo,
dandoci ulteriormente la zappa sui piedi. Il confine è molto sottile,
ma i nostri magistrati dovrebbero seguire il criterio dell'applicazione
«ragionevole» della norma, suggerito più volte dalla Consulta.
La politica declinante è invece lo sfondo di questo giudizio
universale. Un regime politico al tramonto è la riserva di caccia ideale
per gli inquirenti, perché le loro prede perdono protezione e spesso
anche lucidità. Fu così anche nel crollo della Prima Repubblica: prima
venne la vittoria elettorale della Lega, che mandò in tilt il sistema, e
solo dopo le inchieste di Tangentopoli, che gli assestarono il colpo di
grazia. Quel che oggi accade a Finmeccanica, il cui capo azienda è
stato arrestato, allora toccò all'Eni con i quattro mesi di carcerazione
preventiva per Gabriele Cagliari, finiti con un tragico suicidio. Se
allora fu l'emergere della Lega a consentire ai magistrati di attaccare
un feudo del potere socialista, oggi è il declinare della Lega a
lasciare Orsi privo della protezione che l'aveva portato fino alla guida
del gruppo.
In ogni caso, non c'è speranza di pulizia finché i vertici di grandi aziende con proiezione internazionale verranno scelti dalla politica per motivi politici. Si è visto a sinistra con il Monte dei Paschi di Siena, una banca gestita di fatto dal Pds-Ds-Pd. Si vede ora a destra con Finmeccanica, basta leggere come fu scelto il vertice secondo la testimonianza di uno dei papabili: «Letta e Berlusconi erano per la mia nomina, Tremonti non era in disaccordo, solo la Lega spingeva per Orsi...». Il quale Orsi, appena nominato, provvide subito a spostare la sede legale di Alenia Aermacchi da Pomigliano d'Arco al Varesotto, terra natale di Maroni.
Infine c'è la giustizia debordante, antico male italiano che non sembra essere stato in alcun modo curato in questi vent'anni in cui pure la politica ha molto strepitato contro la magistratura. Innanzitutto c'è un uso disinvolto, insistito e spesso spettacolare della custodia cautelare. È difficile non chiedersi perché per inchieste che duravano da mesi (Finmeccanica e Monte Paschi), o per personaggi noti come Massimo Cellino e Angelo Rizzoli, si sia resa improvvisamente indispensabile la privazione della libertà personale. L'impressione è che la lentezza del sistema giudiziario stia convincendo più di un magistrato che l'unica condanna ottenibile sia quella dell'opinione pubblica, e che il mandato di cattura venga talvolta usato come una sentenza. A questo si aggiunge un sistema mediatico che sempre meno fa differenza tra sospetti e prove, un pubblico eccitabile che chiede giustizieri invece che giustizia, e uno star system che sempre più proietta le toghe celebri in politica. È un corto circuito che innesca un populismo giudiziario non meno pernicioso del populismo politico. Il quale, a dieci giorni dalle elezioni, sentitamente ringrazia.
- 15 febbraio 2013 | 9:05
Uno spazio solo per la scuola? NO, uno spazio tutto mio dove posso mettere quello che mi sembra giusto mettere. Sicuramente in cima c'è sempre la scuola, ma mi piacerebbe creare un luogo virtuale dove poter chiacchierare liberamente anche con le persone che mi vivono accanto ogni giorno, ma che spesso non riesco ad ascoltare, sorseggiando una tazzina di caffè.
venerdì 15 febbraio 2013
Il marcio e il caos
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