martedì 28 agosto 2012

Il segreto del piccolo Matteo, il bimbo che non fa paura alle marmotte

La cosa straordinaria di questo legame è che non è basato sulla reciprocità ma sulla pura simpatia

Il piccolo MatteoIl piccolo Matteo
A quattro anni Matteo Walch era alto come un soldo di cacio. La marmotta che per prima se lo trovò di fronte, quando con tutta la famiglia era in vacanza a Grosslockner, nelle Alpi austriache, penso l'abbia guardato soprattutto con curiosità, forse con un po' d'interesse ma certo non con paura. I grandi e tondi occhi del roditore persi negli infantili occhi umani di Matteo. E un po' infantili erano anche quelli della marmotta (che pure era una signora di una certa età) perché loro, tutte le marmotte, sono fatte così, e, almeno ai nostri occhi, un po' bambocce lo rimangono sempre, come i koala e i panda e, a modo loro, pure i pinguini.
Fatto sta che Matteo allora cominciò quell'avventura che ora possiamo anche considerare una lezione per tutti noi. Una lezione innanzitutto perché, invece di rimanere con gli altri bambini nel recinto del parco giochi, aveva preferito correre libero nella natura e starsene là ad osservare le marmotte. Una lezione inoltre perché, oggi che ha otto anni, ci insegna come tutti noi dovremmo comportarci con gli animali selvatici.
La storia di Matteo, tutto sommato, è insieme semplice e straordinaria. La semplicità sta nel come s'è andata sviluppando: da quando aveva quattro anni ogni estate Matteo ha infatti trascorso due settimane giornalmente immerso nella colonia di marmotte, ed è bastato questo breve periodo, ripetuto però un anno dopo l'altro, per far prima nascere e poi consolidare tra l'umano e i non umani un'amicizia caratterizzata dalla reciprocità ma anche dalla consapevolezza della diversità esistente tra le loro due specie.
La lezione che il bambino Matteo col suo esempio sta infatti dando è che a creare un legame forte tra un animale e un essere umano non c'è solo l'imprinting, legame che fa dell'animale (in questo caso penso soprattutto al cane) e del padrone quasi un tutt'uno, un'unica famiglia. Un legame che comunque ci dà una sensazione di parentela.
Nel caso di Matteo e delle marmotte il rapporto è diverso, è la cosiddetta «socializzazione secondaria». Avviene al di là del periodo precoce dell'imprinting e semplicemente annulla la paura e crea fiducia e simpatia, ma la marmotta resta marmotta e l'uomo resta uomo. C'è però, in questa socializzazione secondaria, il miracolo della convivenza pacifica, del riconoscersi anno dopo anno e dell'essere felici a ogni nuovo ritrovarsi.

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