lunedì 20 febbraio 2012

Sudoku e cruciverba per aprire la mente

Le attività stimolanti preservano l'efficienza intellettiva
e potrebbero limitare il rischio di Alzheimer


Contro la chiusura mentale e il decadimento intelletivo degli italiani potrebbe aver fatto di più la gloriosa Settimana Enigmistica di tante medicine.Lo dice uno studio della Washington University di San Louis pubblicato su Psychology and Aging che ha dimostrato come sottoporre per 16 settimane gli anziani a programmi di training cognitivo e di problem solving associati a esercizi di parole crociate o di sudoku migliori la chiusura mentale spesso associata all’età, preservando l’efficienza intellettiva e disponendo verso nuove esperienze, a tutto vantaggio della salute generale e dell’aspettativa di vita. L’età media dei 183 partecipanti era di 77 anni (il più giovane aveva 60 anni e il più vecchio 94) e avevano mediamente frequentato la scuola per quindici anni e mezzo. Per partecipare allo studio dovevano riportare un punteggio di almeno 24 all’MMSE (il test Mini Mental State Examination più usato nella valutazione del deterioramento mentale senile), non essere stati colpiti da ictus nei 3 anni precedenti, né essere sotto trattamento con farmaci antitumorali. 15 ORE LA SETTIMANA - I “vecchietti” hanno dovuto impegnarsi a svolgere gli esercizi loro assegnati per almeno 15 ore alla settimana, compito per il quale hanno peraltro ricevuto anche un compenso. All’inizio sono stati divisi casualmente i due gruppi: 85 soggetti attivi e 98 soggetti di controllo. Quelli del primo gruppo hanno partecipato a una settimana di lezioni condotte dai ricercatori allo scopo di stimolare il ragionamento induttivo focalizzato sull’apprendimento di nuove modalità di ragionamento. Poi dovevano fare i “compiti a casa” compilando esercizi di sudoku e parole crociate, la cui difficoltà era personalizzata in base alle capacità di ognuno emerse dalle valutazioni condotte durante il corso. Prima del corso specifici test avevano indicato che i soggetti di entrambi i gruppi erano pressoché tutti allo stesso livello dal punto di vista cognitivo, ma alla fine quelli stimolati con gli esercizi sono risultati mentalmente più aperti a nuove modalità di ragionamento, dimostrando per la prima volta che un trattamento non farmacologico può mutare i tratti di personalità di un anziano, da sempre ritenuti congelati e immutabili. Il nonno che improvvisamente decide di iscriversi all’università infatti sorprende e può addirittura far temere l’insorgenza di un problema organico cerebrale.
PRIMA SOLO ALCUNI FARMACI - L’anziano va anche spesso incontro a calo dell’umore, tant’è che si parla di pseudodemenza depressiva e finora solo i cosiddetti farmaci noradrenergici (in sigla NARI) avevano dimostrato in questi casi uno specifico effetto sulla risocializzazione, intesa come rimotivazione a reinvestire nei rapporti interpersonali, in attività e oggetti di interesse che prima erano stati in qualche modo cancellati dalla malattia. La riabilitazione psicosociale è un evento complesso che presuppone la riacquisizione di aspetti di funzionamento psicomotorio, di atteggiamenti positivi, di modalità di pensiero migliorate rispetto a una condizione di inibizione depressiva precedente. Aver ottenuto questo effetto senza farmaci apre una vasta gamma di nuove opportunità terapeutiche anche se lo studio non ha chiarito se ciò sia derivato dalla partecipazione alle lezioni di trainig cognitivo o dall’esecuzione giornaliera degli esercizi da svolgere a casa oppure da entrambe le cose messe insieme.
LA PET CONFERMA - Un altro studio pubblicato sugli Archives of Neurology dalla California University di Berkeley ha dimostrato, usando la PET (tomografia a emissione di positroni) che nel cervello di chi ha sempre svolto attività cognitive stimolanti come leggere o anche solo fare parole crociate ci sono meno placche di amiloide, la sostanza che rappresentano la stimmata della malattia di Alzheimer. Lo studio è stato condotto su 55 anziani (età media 76 anni) senza sintomi di demenza di Alzheimer, 10 con diagnosi di Alzheimer e 11 ventenni sani di controllo. Pur non smentendo la possibilità di un effetto a breve termine di apertura mentale come quello osservato dai colleghi di Saint Louis, i ricercatori di Berkely ritengono che l’effetto di freno sulla formazione di amiloide sia invece a lungo termine. Per migliorare la cognitività da vecchi bisogna cominciare da giovani e quindi mettetevi sotto a leggere libri e a fare sudoku e parole crociate.
Cesare Peccarisi

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